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giovedì 21 luglio 2011
Il resoconto delle prime settimane di intervento dei nostri volontari presso il carcere di Pontedecimo
Pubblichiamo un resoconto particolare, una descrizione di un intervento, tanto delicato quanto importante, sostenuto da tre nostri volontari presso le strutture carcerarie di Genova Pontedecimo.
Usiamo due pseudonimi, per garantire la necessaria privacy ai volontari.
Si tratta di una testimonianza dall'alto contenuto giornalistico e narrativo, scritta da chi abitualmente, attraverso pratiche spirituali e meditative, è abituato a individuare il solco immaginario che ci divide dagli altri, quelle "sbarre invisibili" della nostra esistenza che stanno portando il mondo al collasso ecologico e alla marcata differenziazione tra gli esseri umani e in genere tutti gli esseri senzienti, nostre sorelle e fratelli.
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"Abbiamo fatto in queste settimane i primi incontri al carcere di Pontedecimo, eravamo Marco ed io.
La sezione con cui la Direttrice del carcere ci permette di relazionarci è la III, detenuti maschili "protetti", ovvero persone che per le tipologie dei reati commessi (p.es. violenze su minori) o per le scelte compiute dopo l'arresto (p.es. collaboratori di giustizia) sono detenute in una zona e in una condizione particolare che li mette al riparo da eventuali atti ostili degli altri carcerati.
Non è una sezione facile oltre che per i motivi più ovvi anche perché questi detenuti a differenza degli altri non possono uscire nel cortile durante "l'ora d'aria".
Possono girare per il corridoio che collega le loro celle e visitare due piccole salette per alcune ore al giorno, ma non possono uscire dall'edificio in nessun giorno dell'anno... come è comprensibile persone che sono condannate a trascorrere 5,6, 8 o 15 anni nella medesima cella e non possono neanche uscire in cortile a guardare direttamente il cielo tendono ad accumulare una situazione di tensione, di aggressività repressa, di stress e di profondo disagio molto forti.
Il carcere in se è in una posizione abbastanza buona (per essere un carcere italiano), alla periferia di Pontedecimo, su una collina subito sopra l'Ospedale Gallino, e dal versante subito dietro iniziano i boschi e la campagna.
Il paesaggio intorno è solo da un lato "città", dagli altri è decisamente più salubre e verde e un po' questo si nota anche dalle finestre dell'istituto di detenzione, e alcune persone lo notano e da loro sollievo - come ci hanno raccontato.
Gli incontri sono andati bene, c'è un gruppetto di circa 5 persone seriamente interessate e partecipanti (ovvero circa un terzo della sezione.
Con 15 detenuti è la sezione più piccola del carcere, che conta circa 70 detenute in I sezione e 60 uomini in II sezione), che collaborano, raccontano di loro, fanno domande... in questi tre incontri Franco ha presentato il progetto, le linee guida generali, e avviato un lavoro sull'emozione-rabbia che punta sul: come riconoscerla, cosa non fare da arrabbiati, come gestirla e poi come scegliere il "da farsi" migliore.
Un approccio molto concreto che sta permettendo un lavoro dinamico, di interazione. Abbiamo anche lasciato alcune fotocopie di un breve discorso del maestro Thich Nhat Hanh proprio su questi temi, da lui tenuto negli Stati Uniti qualche mese dopo l'esplosione delle Twin Towers.
Il gruppo dei partecipanti è molto eterogeneo.
Qualcuno si porta dietro una pesante eredità culturale e condizionamenti ad essa legati (ambito islamico dell'egitto meridionale, modalità di azione clanica, con giustizia auto-amministrata e istituto della faida come metodo di "riequilibrio" dei conflitti), qualcun'altro una bassa condizione sociale e culturale di partenza, qualcun'altro invece con citazioni anche colte (con tanto di dáimōn di socratica memoria!) e qualche nozione basilare di yoga e meditazione.
Il "feedback" c'è però, e questa è una nota positiva non da poco. Alcuni hanno anche chiesto di poter incontrare Luca in colloquio privato aldilà del normale incontro in qualità di counselor, e lui si è detto ben disposto e avvierà le procedure in settimana presso la Direttrice.
Spendo due parole anche sull'ambiente in sè: il carcere di Pontedecimo è una struttura "privilegiata" rispetto alla media delle carceri italiane.
Sorge in un buon posto, ha ambienti di dimensioni abbastanza capienti, del verde intorno, il fenomeno del sovraffollamento è limitato, non ci sono stati troppi atti di autolesionismo e co... detto questo: è un carcere, con il clima e tutti i problemi delle carceri.
Gli ambienti sono freddi, gli spazi limitati e un po' squallidi, il clima non certo disteso, le porte e le grate da passare numerose, la monotonia e il grigiore soverchianti, la sorveglianza molto stetta, le guardie... .
L'entrare (essendo per me la prima volta) mi ha fatto un po' effetto, in un certo senso mi ha ricordato una "iniziazione al contrario"... vari "step" da superare, cose di cui spogliarsi (cellulare, oggetti, borse, etc.), controlli da superare, domande (scontate) con risposte (altrettanto scontate) ripetute varie volte e che sembrano quasi un rito, porte e cancelli da far aprire e chiudere... in effetti è un poco come entrare in un altro piccolo mondo, contiguo al nostro eppure come separato.
La "lungaggine" per poter accedere in un certo senso aiuta e prepara gradualmente all'atmosfera. Una volta passato tutto questo e dentro non c'è disagio, c'è la cosa in sè e basta. Le cose riprendono a scorrere da sole. (Almeno, questo è quello che ho vissuto io)
Le prossime volte - da come sono venuti i discorsi - dovremmo fare un po' di meditazione sul respiro e iniziare una piccola esplorazione dei condizionamenti e della consapevolezza.
Il tema è venuto da sè. "
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